Stanley Kubrick: le opere d’arte che hanno ispirato i suoi film!

Un'analisi dei riferimenti all'arte figurativa nel cinema di Stanley Kubrick

Il cinema, come sappiamo, è considerato la settima arte. Infatti esso, come lo possiamo notare oggi, è una vera forma d’arte a tutti gli effetti. Le immagini in movimento e i suoni si fondono per creare prodotti sempre diversi. Nel corso dei decenni e delle epoche, il cinema ha però tratto spesso ispirazione dalle altre arti. Soprattutto quelle maggiori tra cui la pittura, l’architettura e la scultura. La prima di esse è stata presa a modello da molti cineasti di tutto il mondo per ricreare nei loro film scene tratte da opere famose e non. Il regista che molto spesso ha tratto ispirazione da opere d’arte figurative, per i suoi film, è stato Stanley Kubrick.

Il rapporto stretto tra il suo cinema e l’arte figurativa è noto da tempo. Il cineasta è celebre infatti soprattutto per la composizione delle sue immagini e per l’esperienza visiva che esse generano. In questo articolo cercheremo di trovare e analizzare i modelli culturali e artistici, nonché sociali, a cui Stanley Kubrick a fatto riferimento per alcune sue opere cinematografiche, procedendo con esse in ordine cronologico.

 Stanley Kubrick: il senso dell’arte nei suoi film

Conosciamo Stanley Kubrick proprio per la sua maniacale ricerca di una sorta di bellezza extrasensoriale nei suoi prodotti. Studi approfonditi e specifiche e articolate ricerche finalizzate alla migliore riuscita possibile delle sequenze che aveva in mente. Sappiamo che il carattere del regista lo spingeva spesso ad interrompere le collaborazioni con musicisti, direttori della fotografia e altri collaboratori, se il prodotto non rispettava le sue idee. Spesso era lo stesso Kubrick, in fine, a porte a termine il lavoro.

La ricercatezza porta Kubrick a immergersi nel mondo dell’arte figurativa per trovare in essa numerosi modelli da inserire come riferimenti nei suoi film. La narrazione si fonde con le immagini con una sumblime naturalezza, creando un insieme di dipendenza reciproca che riesce persino ad allargare gli stessi significati dell’opera: l’opera d’arte diventa un tutt’uno con il contesto narrativo. Questo procedimento fa si che non solo ci sia una diretta citazione dell’opera come impatto visivo nell’immagine, ma quest’ultima può riuscire ad evocare un’analogia tra opera e contesto narrativo, a livello sociale ad esempio, ma comunque andando oltre la mera immagine.

Il regista ricostruzione  come un filologo ambientazioni, paesaggi, costumi, forme e espressioni meticolosamente e cercando, oltre alla precisa somiglianza, anche una sua autenticità. Per Stanley Kubrick il valore dell’arte è non solo evocativo ma essa, nei suoi film, induce lo spettatore a riflettere sul valore delle immagini e del cinema in senso lato.

Lolita

Il primo film preso in considerazione è “Lolita”, film del 1962 tratto dall’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov. La protagonista è una giovane, oltre che maliziosa, che fa invaghire il più anziano professor Humbert. La ragazza rappresenta una tipologia ben precisa di atteggiamento caratteriale, sviluppando una concreta personalità già a primo impatto: sfacciata, sicura e sensuale quanto enigmatica e misteriosa. Questo modello di personaggio era, negli anni Quaranta, già stato oggetto di studi da parte del pittore francese, di origine polacca, Balthus. Egli aveva ritratto la controversa e seducente figura ne “I bei giorni”. Il pittore rompe le regole schematiche e perbenistiche della società e soprattutto delle morali convenzioni dei canoni accademici con le sue “lolite”. Esse sono uno strumento d’evasione dalla realtà, come delle ninfe del Novecento che attirano innegabilmente verso un percorso invitante quanto inquietante. Kubrick, con la protagonista del suo film, applica essenziale lo stesso procedimento di Balthus.

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Lo storico dell’arte e iconologo Aby Warburg discusse a lungo del tema del rapimento estatico della figura femminile nel contesto artistico, quella che abbiamo chiamato “ninfa” o “lolita”. Personalità seduttiva sì ma al contempo distruttiva, che mina dall’interno la psiche di chi non riesce nella resistenza. Warburg, nei suoi studi, prende a modello la figura della ninfa-menade (apparentemente sconnessa dalla scena a livello spaziale e narrativo) presente nella “Nascita del Battista” di Domenico Ghirlandaio, nella cappella Tornabuoni (Santa Maria Novella, Firenze). La figura della donna è vista dallo studioso come un simbolo della seduzione. Iconograficamente richiama il modello di Salomè e della danza mortale per il Battista: metaforicamente Salomè come Lolita che danza per il professor Humbert.

2001: Odissea nello spazio

L’opera forse più nota e importante, culturalmente e cinematograficamente, del regista americano. Il film cult di Stanley Kubrick è il perfetto esempio di esperienza sensoriale (e oltre) accennata sopra. Kubrick inizia qui ad utilizzare il colore ampliando così la scelta dei riferimenti all’arte figurativa. Qui più che riferimenti espliciti nell’immagine, il regista incastra tra il narrato e l’impatto visivo dei parallelismi tra opera cinematografica e opera d’arte citata. Il più lampante esempio di un riferimento artistico nell’opera dell’eccentrico regista si può trovare nell’arte più contemporanea a 2001. Parliamo della concezione che ruota attorno alla figura del monolito nero, mistico oggetto dalle caratteristiche materiali semplici e decise: un parallelepipedo estremamente minimal ma carico di significati allegorici e simbolici (leggi qui il significato dell’oggetto e la spiegazione del film). Il monolito ha un riferimento preciso in un’opera fin troppo coeva a 2001, addirittura dello stesso anno: le “Space columns” di Peter Kolisnyk.

Il viaggio extracorporeo dell’astronauta David Bowman, nella sequenza del percorso allucinato verso Giove, può rimandare alla serie “Skylight” di Allen Jones. Da questo punto di vista, le dimensioni scoperte nel percorso attraverso quell’esperienza spazio-temporale si riallacciano a riferimenti nelle Optical art o nelle fotografie molecolari, per citarne alcuni dei molti. Riferimento può anche esser stata la serie delle “Dune” dell’artista olandese Piet Mondrian. Questa potrebbe essere stata citata da Kubrick, grazie alle suggestioni dei suoi colori, nelle sequenze che ritraggono i caratteristici paesaggi deserti, con una gamma cromatica dalle tonalità basse e opache.

 Arancia Meccanica

Nel film del 1971, Stanley Kubrick prende come modello in maniera esplicita la Pop art e la sua esperienza culturale. Utilizza quest’ultima, con la sua carica provocatoria e spiazzante, come uno specchio della società coeva. A livello compositivo, fotografico e registico è il film stesso a essere la vera opera d’arte pop: tonalità di colori esplicitamente antinaturalistiche ad evidenziare un contesto fuori dal comune, facendo riferimento alla cultura dei comics. Caratteri e elementi portati all’estremo per far saltare fuori una dimensione realistica piena di quel grottesco dramma della massificazione. Il linguaggio è moderno e ricco di riferimenti ad opere e artisti contemporanei, arrivando al kitsch e al bizzarro.

Volendo trovare dei riferimenti cronologicamente elencati, il primo è senza ombra di dubbio quello a Vincent Van Gogh, pur non appartenendo al genere citato più volte sopra. La citazione è presente nella scena dell’ora d’aria al carcere che prende ispirazione a livello compositivo, formale ed emotivo alla “Ronda dei carcerati” del pittore olandese. Forse ancora più espliciti sono invece i rimandi alle sculture Henry Moore e all’arte antropomorfa di Segal: tutti questi riferimenti sono presenti nelle donne-oggetto, ovvero tavoli, sedie e quant’altro, nel ritrovo di Alex e del suo gruppo. Altro modello di riferimento nell’arte coeva è, ad esempio, la scultura provocatoria “Princess X” di Constantin Brancusi.

Barry Lyndon

Il film del 1975 è un quadro in movimento. Meno acclamato dai precedenti, “Barry Lyndon” è però quello che ha più rilevanza parlando d’ispirazione all’arte figurativa. Kubrick crea con questo film un prodotto con un impatto visivo sublima e magniloquente: ad oggi, il Settecento non è mai stato rappresentato più fedelmente di come lo è in questo film. Un film che parla di storia con la S maiuscola, da quella del singolo a quella universale: il Settecento come pretesto per un discorso legato a tutte le epoche e a tutti gli uomini. Ogni inquadratura, ogni frame è un quadro, il più delle volte una vera e propria ricostruzione maniacale di opere pittoriche esistenti. Barry Lyndon è bellezza, fascino e emozione principalmente per i fattori, qui indicati brevemente.

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Passando ai riferimenti concreti all’arte, il film è quello del regista con il maggior numero di citazioni e rimandi, e sarebbe qui quasi impossibile elencarli tutti. Il pittoresco Barry Lyndon omaggia i maggiori artisti settecenteschi, tra cui Fṻssli e Hogarth. Le visioni della società e del paesaggio sembrano essere direttamente ispirate ai quadri, più che alla ricostruzione storica: l’opera d’arte di un determinato periodo, sia essa figurativa, musicale o letteraria, è forse l’unico mezzo di ricostruzione concreta della società, degli usi e dei costumi. Gli artisti e le opere citate sono troppi. Spiccano le ricostruzioni paesaggistiche di Constable e la società del tempo ripresa come la dipingeva Zoffany.

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Kubrick, anche grazie ai collaboratori tra i quali spicca la pluripremiata italiana Milena Canonero ai costumi, ricrea una finestra sul passato proprio utilizzando quest’ultimo. Con ciò però sottolinea che esso è definitivamente accantonato, però l’arte (come il cinema) può sempre rievocare e renderlo in un certo senso immortale. Il film fa inoltre emergere l’influenza di Luchino Visconti e del suo approccio all’arte figurativa.

Shining e Eyes Wide Shut

Due film che segnano l’ultimo periodo lavorativo di Stanley Kubrick e terminano il nostro percorso artistico nei suoi lungometraggi. Le inquadrature soggettive e gli ambienti di Shiningsono già nella loro autenticità un vero bene della cultura cinematografica da tramandare alle generazione future. Ma non solo. Tra le citazioni, le inquadrature vertiginose sui paesaggi richiamano gli effetti di Gerardo Dottori e della sua aeropittura futuristica. Inoltre, le strutture dell’iconico Overlook Hotel, vero protagonista del film, si ispirano moltissimo a quelle ricreate nei primi decenni del secolo dall’architetto Frank Lloyd Wright. Principalmente è l’Imperial Hotel di Tokyo ad essere un modello per alcune ambientazioni.

Se c’è un prodotto di Kubrick che può avvicinarsi alle emozioni pittoriche di Barry Lyndon, quello è “Eyes Wide Shut”, del 1999, ultimo prodotto del regista. Ma le emozioni qui sono molto più artificiali, molto più funzionali ad esperimenti cromatici e formali. Nel controverso film, i riferimenti sono ad opere pittoriche altrettanto ambigue: non è da stupirsi se un riferimento all’eccentrico Bosch si può trovare nella scena di un’orgia. Gli ambienti decadenti con il loro sfondo dorato predominante richiamano con quest’ultimo a numerosi riferimenti artistici: dai fondi oro di epoca bizantina al più contemporaneo Gustav Klimt. Proprio questi effetti onirici richiamano la stessa sceneggiatura e ci fanno sprofondare in un viaggio sensuale quanto vertiginoso. Riferimenti piuttosto marcati si possono trovare nelle opere del pittore James Ensor, e principalmente in “The Intrigue”, opera alla quale Kubrick può aver attinto per le inquietanti scene con i personaggi mascherati.

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Un regista, un autore, un cineasta a trecentosessanta gradi. Ma in questo contesto è piuttosto lecito parlare di artista.

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